Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 mette in luce l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Un inverno demografico che dal 2008 (577mila nascite) non ha conosciuto soste. Di contro calano anche i decessi (661mila), l’8% in meno sul 2022, dato più in linea con i livelli pre-pandemici rispetto a quelli che hanno caratterizzato il triennio 2020-22. Ed aumenta la speranza di vita: sei mesi in più.
A fotografare lo stato dell’arte della popolazione italiana è l’ultimo Report dell’Istat. Al 1° gennaio 2024 la popolazione residente in Italia è pari a 58 milioni 990mila unità (dati provvisori), in calo di 7mila unità rispetto alla stessa data dell’anno precedente (-0,1 per mille abitanti). Si conferma però quanto già emerso nel 2022 (-33mila unità): prosegue infatti il rallentamento del calo di popolazione che, dal 2014 al 2021 (-2,8 per mille in media annua), ha contraddistinto il Paese nel suo insieme
La popolazione varia da area ad area del Paese: il Mezzogiorno segna un saldo in negativo particolarmente consistente: -4,1 per mille. Nel Nord, invece, la popolazione aumenta del 2,7 per mille. Stabile quella del Centro (+0,1 per mille). A livello regionale la popolazione cresce in Trentino-Alto Adige (+4,6 per mille), Lombardia (+4,4 per mille) e in Emilia-Romagna (+4,0 per mille). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata (-7,4 per mille) e la Sardegna (-5,3 per mille). Ma a conti fatti la popolazione rimane stabile grazie alla popolazione immigrata: ci sono più immigrati e meno emigrati dell’anno precedente: il saldo migratorio netto sale da +261mila nel 2022 a +274mila nel 2023.
Con 1,2 figli per donna fecondità vicina al minimo storico Prosegue il trend negativo delle nascite. Secondo i dati provvisori, nel 2023 sono nati 379mila bambini, con un tasso di natalità del 6,4 per mille (era 6,7 per mille nel 2022). In cifre 14mila bambini in meno rispetto al 2022 (-3,6%). Ma dal 2008, ultimo anno in cui si è assistito in Italia a un aumento delle nascite, sono nati 197mila bambini in meno (-34,2%). La riduzione della natalità colpisce sia i cittadini italiani sia quelli stranieri. Questi ultimi, pari al 13,3% del totale dei neonati, sono 50mila, 3mila in meno rispetto al 2022.
L’inverno demografico è caratterizzato da una importante contrazione della fecondità: la popolazione femminile in età riproduttiva (15-49 anni) è scesa a 11,5 milioni al 1° gennaio 2024, da 13,4 milioni che era nel 2014 e 13,8 milioni nel 2004. Anche la popolazione maschile di pari età, tra l’altro, subisce lo stesso destino, passando da 13,9 milioni nel 2004 a 13,5 milioni nel 2014, fino agli odierni 12 milioni.
Il numero medio di figli per donna scende così da 1,24 nel 2022 a 1,20 nel 2023, avvicinandosi di molto al minimo storico di 1,19 figli registrato nel lontano 1995. Una contrazione che interessa tutto il territorio nazionale: nel Nord si è passati da 1,26 figli per donna nel 2022 a 1,21 nel 2023, nel Centro da 1,15 a 1,12. Il Mezzogiorno, con un tasso di fecondità totale pari a 1,24, il più alto tra le ripartizioni territoriali, registra una flessione inferiore rispetto all’1,26 del 2022.
Soprattutto diventa sempre più alta l’età media al parto delle mamme. Un fenomeno che impatta negativamente sulla fecondità: più si ritardano le scelte di maternità, sottolinea l’Istat, più si riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Dopo un biennio di sostanziale stabilità, nel 2023 l’età media al parto si porta a 32,5 anni (+0,1 sul 2022) con valori più alti nel Nord e nel Centro (32,6 e 32,9 anni) rispetto al Mezzogiorno (32,2), dove però si osserva l’aumento maggiore sul 2022 (era 32,0). “Passata la turbolenta fase pandemica e immediatamente post-pandemica – spiega l’Istat – a cui si devono attribuire parte delle irregolari variazioni congiunturali rilevate, la discesa della fecondità sembra riprendere ovunque, accompagnata da una rinnovata spinta alla posticipazione. Nord e Mezzogiorno, dopo aver registrato lo stesso livello di fecondità nel 2022, si discostano nuovamente. Il Mezzogiorno, dopo venti anni, torna ad avere una fecondità superiore a quella del Centro-nord”.
Le Regioni più feconde e quelle meno feconde Il Trentino-Alto Adige con un numero medio di figli per donna di 1,42, continua a detenere il primato della fecondità più elevata del Paese, sebbene sia tra le regioni con la variazione negativa maggiore rispetto al 2022 (1,51). Seguono Sicilia e Campania, con un numero medio di figli pari a 1,32 e 1,29 (contro 1,35 e 1,33 nel 2022). In queste tre regioni le neo-madri sono mediamente più giovani che nel resto del Paese: 31,7 anni l’età media al parto in Sicilia; 32,2 anni in Trentino-Alto Adige e Campania.
Il primato negativo di fecondità continua ad essere quello della Sardegna: si colloca sotto il livello di un figlio per donna per il quarto anno consecutivo, nel 2023 si posiziona a 0,91 figli (0,95 nel 2022). In affanno anche la Basilicata, dove il numero medio di figli per donna scende da 1,10 nel 2022 a 1,08 nel 2023; il Molise che rimane però stabile a 1,10.
La Sardegna e la Basilicata sono, insieme al Lazio, le tre regioni in cui il calendario riproduttivo risulta più posticipato, con età medie al parto rispettivamente pari a 33,2, 33,1 e 33 anni.
Decessi in calo e circa sei mesi di speranza di vita in più Il 2023 si caratterizza anche per un calo dei decessi (661mila nel 2023): – 54mila rispetto l’anno precedente. Muoiono sempre meno anziani. Il 75% della diminuzione interessa, in particolare, individui di almeno 80 anni di età. Una fascia di popolazione, quest’ultima, particolarmente colpita negli anni della pandemia.
La mortalità precoce di tali individui osservata a varie ondate nell’arco del triennio 2020-22, anni durante i quali si sono avuti rispettivamente 740mila, 701mila e 715mila decessi, i massimi mai riscontrati in precedenza, ha comportato un ritorno quasi ai livelli di mortalità di epoca pre-pandemica. Nel 2023, infatti, il tasso generico di mortalità si assesta sull’11,2 per mille. Per quanto ancora superiore a quello del 2019 (10,6 per mille), anche per un connaturato effetto crescita legato alla struttura per età della popolazione, è ben inferiore al 12,1 per mille del 2022 e allo stesso 12,5 per mille del 2020.
Al calo della mortalità corrisponde un cospicuo balzo in avanti della speranza di vita alla nascita che arriva a 83,1 anni nel 2023, guadagnando sei mesi sul 2022. Tra gli uomini la speranza di vita raggiunge gli 81,1 anni (+6 mesi sul 2022) mentre tra le donne gli 85,2 anni con un guadagno sul 2022 leggermente inferiore a quello maschile (+5 mesi). Cosicché, mentre gli uomini hanno recuperato i livelli di sopravvivenza ante pandemia (precisamente 81,1 anni nel 2019), le donne presentano ancora margini di recupero (85,4 anni nel 2019).
Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 81,7 anni per gli uomini e di 85,7 anni per le donne; i primi guadagnano sette mesi sul 2022, le donne invece sei. Il Trentino-Alto Adige si conferma la regione con la più alta speranza di vita sia tra gli uomini (82,2) sia tra le donne (86,5); la Valle d’Aosta è invece la regione che consegue il maggior guadagno sull’anno precedente, un anno per gli uomini e otto mesi per le donne.
Nel Centro la speranza di vita alla nascita è poco inferiore a quella del Nord, 81,6 anni per gli uomini e 85,6 anni per le donne: per i primi l’incremento sul 2022 è di sei mesi, mentre per le seconde di quattro. La speranza di vita più alta tra gli uomini si rileva in Toscana (81,9), per le donne nelle Marche e in Umbria (85,9).
Nel Mezzogiorno si registrano i valori più contenuti della speranza di vita alla nascita, 80 anni per gli uomini e 84,3 anni per le donne. Per gli uomini si profila un campo di variazione che va da un minimo di 79,4 anni in Campania a un massimo di 80,6 anni in Abruzzo. Lo stesso che si riscontra tra le donne, dove tuttavia si passa dagli 83,6 anni della Campania agli 85,5 dell’Abruzzo. Se dunque il Trentino-Alto Adige si presenta quale regione più longeva, la Campania dal suo canto continua a presentare la minor aspettativa di vita. Tra le due realtà territoriali si evidenzia nel 2023 un divario di 2,9 anni considerando nell’insieme uomini e donne, che non accenna affatto a diminuire ma semmai a crescere (era 2,2 nel 2003, 2,7 nel 2013).